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Torino, 30 Dicembre 1950
Bollettino n° 8
Seguire traverso i millenni le avventure del corpo sotto l’assillo del Genio organizzativo, sarebbe certamente impresa affascinante, impresa che, rifacendosi ai primordi della Creazione, dovrebbe fatalmente risalire a quel silenzio pieno d’armonia che lo precedette. Silenzio simile a quello delle orchestre prima del loro prorompere al cenno della bianca verga, in un’ondata sinfonica, paragonabile ad una concorde liberazione di desideri compressi. L’esempio dell’orchestra mi è valido chiarificatore, perciò vorrete perdonare se sovr’esso indugi, infatti, solo l’orchestra mi offre la pienezza del paragone. Ogni singolo professore d’orchestra sa la sua parte, l’ha provata e riprovata con paziente zelo, la conosce in ogni variazione ed in ogni sua sfumatura, e per necessità conosce anche le parti degli altri; le parti dei violini, dei violoncelli, delle arpe, dei contrabbassi, degli ottoni. Su questa conoscenza egli forgia e modula la sua esperienza melica mentre, nel suo profondo essere si unisce, in un sol corpo, con la sinfonia non ancora eseguita, cosicché, al cenno della candida verga, ne esprime il contenuto tesoro, nell’epifania della bellezza, (cioè: nel manifestarne la bellezza). Così, prima che il corpo fosse, la sinfonia del corpo era; infatti, le molteplici forme a null’altro anelavano, se non a scomporsi in armonia sotto la regia trascendentale della Verga di cui la Kundalini è espressione e ragione. Quando il fuoco terrestre, in cerca di liberazione nell’espressione ed il fuoco celeste, in cerca di eletto vaso atto a contenerlo, confluiscono insieme in un’armonia che è stalattite e stalagmite e che al punto di sutura danno come risultato l’Uomo. Qualunque interpretazione si possa e si voglia dare al racconto del Genesi, non si può, né si deve, non tenere conto di un particolare acquisito: cioè, che l’uomo si manifesta nella Creazione buon ultimo e solo quando (sempre secondo le parole della Genesi), il Creatore, compiacendosi della Sua Creazione, dice a Se stesso. ”Tutto è bene, però non avvi chi sia atto a comprenderlo. Creiamo dunque l’Uomo a Nostra immagine e somiglianza ed abbia vita e d’ogni cosa gusti, ad ogni cosa dia segno ed ogni cosa gli sia soggetta”. In queste parole, che Mosé mette in bocca al suo Dio, è segretamente contenuta la suprema verità dell’Uomo quale scopo della Creazione e quale somma dell’addizione. Se, conformemente alla teoria marxista, la materia e solo la materia, fosse, senz’altra origine e possibilità, tanto che ogni baglior di Spirito ne fosse un mero accidente, se l’origine del mondo delle forme fosse un’impossibile casualità, (assai più inspiegabile che un principio divino), se così fosse, noi dovremmo ritenere l’uomo un errore della Natura e dovremmo veder nell’uomo l’abortire di quelle forze, che ebbero come espressione gli Universi stellati. In questo stato, più che mai assurdo ed incomprensibile, risulterebbe che il dono dell’intelligenza creatrice, compartita all’uomo è invece negata ad organismi più perfetti come, ad esempio, “gli insetti”. (Per intelligenza creatrice, intendiamo l’intelligenza esplicatrice di manifestazioni inutili, almeno in apparenza, quali appunto la filosofia e la religione, o quella della riproduzione di bellezza come le arti figurative e rappresentative, in altre parole: l’intelligenza non consequenziale, non utilitaria. Nella luce marxista l’uomo è un assurdo in natura, mentre nella luce spirituale, qualunque ne sia la fonte e l’origine, l’uomo è lo scopo, la mèta suprema della Natura. Dai due modi di essere e di intendere, nascono le due opposte concezioni: la materialista e la spiritualista. L’una conducente alla giungla l’altra, elevante oltre la forma, all’Idea; l’una unicamente analitica, l’altra sintetica. Queste considerazioni non fanno parte del nostro lavoro, seppur siano utili a lumeggiarne qualche aspetto. Il corpo fisico dell’uomo, come oggi si vede e conosce, non è nato a par di Minerva, dalla testa di Giove, completo e armato, possente e rispondente, ma si è formato attraverso l’opera dei millenni, intenta a dare, al primitivo protoplasma, i mezzi per sintetizzare e moltiplicare l’espressione della vita. Così da ogni parte organica od inorganica della materia, l’assillo del Genio creatore estraeva e conglobava il meglio. Tutte le forze erano chiamate all’opera e tutte le forme, in una successione ossessionante, vi collaboravano sotto una spinta incoercibile. La protocellula si univa e si scindeva, si accoppiava e si separava dando origine, con i suoi agglomerati, ad un principio organico vivente ed operante nel mezzo di vita e talora, contro lo stesso mezzo di vita. In tal modo, i primi rudimentali organismi, dal gioco delle albumine e dei colloidi, si generarono e scomparvero, lasciando però un “disegno atavico cellulare” che portò altre cellule a disporsi in quel disegno, a perfezionarlo in un ricamo continuo di fare e disfare, come fosse una grande tela di Penelope, ove il tempo perdeva ogni unità di misura. Sempre più libero, sempre più perfetto, sempre più forte, sempre più saggio, l’organismo si sviluppava e creava la necessità di altri organismi, necessità che, a sua volta, produceva gli organi mancanti. In questo ritmico ondeggiare di vita e di morte, di manifestazione e di immanifestazione la cellula germinale, praticamente immortale, acuiva in sé i poteri della conoscenza e creava il primo deposito di richiami sensoriali, l’embrione dell’organo della memoria. Quando si giunge all’uomo, la selezione è completa e solo le più elette cellule germinali saranno chiamate a formare quel corpo, destinato, secondo le parole della Genesi: “a gustar d’ogni cosa, a dar segno ad ogni cosa, ad aver soggetta ogni cosa”. Le cellule germinali più elette sono le più ricche di sedimenti conoscitivi, di esperienze sensoriali, di richiami esplicativi, di sensazioni. Esse sono la quintessenza della materia distillata dall’alambicco dello Spirito informatore; ogni cellula germinale ha, in sé tutto compiuto, il cammino dei mondi e ne è anche il riassunto. La comunione delle cellule germinali non potrà che esprimere l’essere perfetto: “l’Uomo”. Lo scienziato russo “Voronoff” vide bene, allorché alla cellula germinale attribuì tutto il bene e il male dell’uomo, in quanto la cellula germinale è l’uomo di carne, preludio all’uomo di Spirito. Nella cellula germinale è contenuta l’intelligenza del corpo e, in certo qual modo, anche l’espressione del suo più alto destino, perché l’unione delle cellule nel corpo dell’uomo prelude la comunione degli uomini nel corpo misterioso del Cristo. Ogni cellula è una potenzialità d’uomo, così come ogni uomo è una potenzialità di Cristo. Tutte le religioni evolute hanno, infatti, per il corpo dell’uomo molte attenzioni. Quell’ammasso di materia in via di putrefazione è sacro alla religiosità dell’uomo, tanto che, prima ancora del Tempio, nasce la tomba. I primi riti furono riti funebri, la primigenia (primordiale, ma anche misteriosa) intuizione d’immortalità l’uomo la sentì appunto nella morte e la sentì perché in lui ogni cellula germinale, nel ricordo di aver vissuto, freme di gioia intensa nel vivere ancora. Il corpo annunciò allo Spirito la sua verità, lo svegliò, lo rese cosciente e lo scagliò da sé come la freccia dall’arco. Una delle più antiche credenze dell’uomo (la più logica del resto), quella della “reincarnazione” (insieme a molte altre verità, che per ora non c’interessano), proclamò, assai prima di Voronoff, l’immortalità della cellula nella carne la quale sempre rinasce quanto più è consumata. Il mito della Fenice che si rinnova nel fuoco, è il risultato di una meravigliosa storia che le cellule narrano all’uomo., a quest’ultimo venuto, ma così importante. Quando il prof. Calligaris, galvanizzando elettricamente talune placche del corpo, viene a proiettare nel cervello una strana serie di immagini, egli non fa altro che comunicare in modo intelligibile, o meglio ancora “immaginico”, quei tratti di coscienza cellulare che l’uomo porta in sé e che, molto impropriamente, chiama istinti ma che meglio farebbe, se non avesse paura anche della sua ombra, a definir ricordi. Ricordi! Tutto l’essere fisico dell’uomo ne è materiato, non una cellula facente parte del corpo umano ne è priva. Tutto l’essere ricorda e il suo ricordo conosce le vie misteriose dei virus e dei pollini, conosce gli spazi siderali, gli atomi infuocati, i cupi precipizi eterici traverso i quali si trasmette la vita; conosce i segreti delle alghe e dei coralli, ricorda la vita dei polipi e quella dei sauri. Quando l’uomo rabbrividisce, è il ricordo delle bufere antidiluviane che lo fa fremere e quando raccapriccia, è tutto il misterioso bacio dei vampiri che lo ripossiede. Soma umana (o corpo umano), scrigno della vissuta esperienza! Il fisiologo che al corpo dell’uomo si accosta per una riverente indagine, sa di poter conoscere molto del mistero della vita. Come il feto nell’utero materno, ricapitola l’avventura dell’uomo, così ogni cellula vivente ed operante nell’uomo, ricapitola la lunga avventura della cellula in ogni forma di vita. Naturalmente, la cellula pura e semplice non è che un vaso, un contenitore, mentre il contenuto è il divino “Gene” (il mistico “Ermes” che conduce i morti alle loro dimore). Quel “Gene che conserva, esprime, difende, moltiplica e limita la vita. Il “Gene” immortale che rende immortale la cellula e che dirige la grande avventura sino alla meravigliosa conclusione. Quel “Gene” che, di vita in vita, spingerà i ventiquattro cromosomi della femmina A verso i ventiquattro cromosomi del maschio B, affinché nella loro unione, il prodotto perfetto C abbia vita ed in tal modo, il miracolo dell’ereditarietà ripeta e conservi le caratteristiche della specie, ne trasmetta e migliori i loro aspetti più peculiari e, nel ciclo delle generazioni, riunisca in un dato individuo le più disparate possibilità sino a crearne un’identificazione perfetta. Molti possono cadere in errore se a questi caratteri vorranno riferire una vera e propria “re-incarnazione” del primo Spirito, poiché potrebbe essere ma potrebbe anche non essere, una reincarnazione. I caratteri ereditari possono esulare benissimo da famiglia a famiglia, da Nazione a Nazione, da Razza a Razza, essendo essi caratteri affidati al “ghene cromosomico” della cellula germinale, una cellula, passando con grande rapidità di essere in essere, potrà stampare gli identici caratteri in due esseri non legati fra loro da un vincolo di sangue e, sovente, neppure di Nazione. Questa conoscenza getta finalmente un raggio di luce sul fenomeno dei sosia e delle straordinarie somiglianze e dissomiglianze, tanto che, spesso, due gemelli non si somigliano affatto mentre due estranei possono indurre in errore per la loro somiglianza. Nella sua corsa per i sentieri della vita, la cellula germinale suscita ed abbatte forme traendo dal meglio della forma, il più che perfetto corpo umano. Nello sforzo costante il corpo si affina ed affinandosi, da origine in sé ad una più alta manifestazione: la Psiche, che è l’essenza spirituale delle cellule e che riesprime, attraverso l’armonia fisica, l’armonia spirituale. Psiche, che ama ed è riamata dallo Spirito, “Eros”, al quale si unisce in amore generando l’intelletto e dal quale la separa la paura, l’orgoglio e la curiosità, residuati della cellula originaria. Apuleio, in una stupenda favola, ha narrato le avventure di Psiche; in essa tutta la vita psichica viene perfettamente adombrata, e noi verremo via via esaminandola nel corso del lavoro. “Psiche, giovinetta bellissima, ha tre sorelle non belle (la triade femminile si riscontra sempre in tutti i conflitti psichici e in tutte le narrative: le tre Parche, le tre Norme. Esse simboleggiano la Madre primigenia, la cellula; la sposa eterna, scissione della cellula; la Morte, conclusione della cellula (la Morte, che è chiusura e riapertura di un ciclo). Per colpa di queste tre sorelle non belle, in seguito ad un oscuro oracolo, Psiche viene abbandonata sopra uno scoglio per essere divorata da una belva ignota. (Ritorna il motivo di Andromeda; l’abbandono sullo scoglio deserto e lo stato di solitudine e di terrore che prende Psiche al suo primo contrasto, è la fuga dal Paradiso terrestre di una coppia stranita e tremante che ignora persino la grandezza del proprio peccato e ne esperimenta solo le conseguenze). Sul nudo scoglio, voci senza corpo, circondano Psiche; venti gentili e delicati la servono come valletti. Sullo scoglio una sola casa, dove Psiche viene condotta; (Queste voci senza corpo, questi venti Alisei cortesi, sono i primi rudimenti di conoscenza, le prime guide di esperienza che ogni cellula offre per servir la sua regina, nata pur da lei e tanto di lei maggiore; la casa sullo scoglio dove Psiche è condotta è il corpo di carne sensitivo ed intelligente che Psiche abiterà per ivi congiungersi ad Amore). Viene la sera e Psiche sente agitarsi accanto a sé, nel suo letto verginale un’ignota belva che la tocca, la prende, la fa sua, essa, seppur riluttante e cieca, seppur ignara del volto dello sposo, sente ardere in sé la bramosia che l’amplesso si rinnovi. (L’unione di Amore e Psiche è l’unione dell’anima senziente con lo Spirito cosciente; è la fusione fra ragione ed intelligenza che preludia al concepirsi dell’intelletto d’Amore). Ma le brutte sorelle, gelose della felicità di Psiche e temendo per loro stesse che il soverchio trionfare della detestata sorella avesse a danneggiarle (Vedi insorgere dei prischi istinti e delle forze primordiali della Natura) sfruttando l’animo femmineo volto al timore e puntando sull’ignoranza, inducono Psiche a contravvenire all’ordine dell’invisibile sposo. Amore aveva ingiunto alla sua diletta: “…e non tentar di vedermi prima di aver concepito di me che male assai te ne verrebbe” (Chiaro e trasparente è qui la simboletica, poiché la paura e l’ignoranza sono, per lo più, l’unica causa di errore e di peccato, chiaro anche il comandamento di Amore: “non tentar di conoscermi se prima non avrai concepito di me”. Senza intelletto d’Amore, infatti, non si giunge alla conoscenza). Psiche tradisce la promessa fatta ad Amore e, notte tempo, furtiva, accende la lampada per vedere l’ignota belva, così scopre Amore. Ma, Non fa in tempo ad intravederlo che quello ratto s’invola, mentre in un rovinio di bufera crolla la ben costrutta casa. Psiche, vedova e derelitta non sa che fare, che volere e, da regina adorata a schiava avvilita, sente le voci ed i venti, divenuti nemici, insultarla e cacciarla. Una voce però le è rimasta amica ed è quella della Speranza, che sussurra all’afflitta: ”Se grande fu il tuo errore, più grande è l’amore del tuo sposo per te. Perché non vai in giro per il mondo a cercarlo finché lo trovi cosicché, da lui perdonata, torni a godere consapevolmente quei beni, che prima incoscientemente possedesti? Si leva Psiche un po’ riconfortata ed inizia il suo viaggio di pena con a fianco, unica dea, la Speranza che si chiama anche nostalgia e che è il volto segreto della conoscenza (l’esperienza, per dura che sia, non abbatte l’anima umana, ma la sprona). Psiche,cioè “l’anima dell’uomo” è tutta materiata di conoscenza, anzi è l’ignara portatrice della conoscenza; come il profumo esala da ogni calice di fiore, così da ogni cellula esala, mutata in conoscimento, l’esperienza acquisita dapprima che la vita stessa fosse. Questo non è un paradosso poiché noi conosciamo la vita nel suo aspetto manifesto, ma esso non può che aver origine dalla cellula. Ogni cellula, però, porta in sé il condensato di un pensiero spirituale che, seppur prigioniero della materia, egli è sempre il “condùcator” della materia. L’anima umana, essendo il riassunto di tutti i pensieri spirituali delle cellule, è anche il riassunto della vivente esperienza, della consapevole volizione, dell’intelligente ordinamento. Come il corpo fisico, somma e riassunto di tutte le cellule è la casa ben costrutta dove Psiche abita, così Psiche stessa non è che un vaso in cui lo Spirito si riversa per assumerla. Sino a che fra Spirito e materia non c’è contrasto, Psiche gode beata degli amplessi dello sposo, ma appena, fra Spirito e materia, subentrano dei conflitti, Psiche diviene il campo di battaglia dove due possenti avversari si fronteggiano armati ma, mentre lo Spirito finisce sempre per essere il vincitore, non sempre le cose vanno bene per Psiche che allo Spirito ed alla materia pagherà lo scotto non solo per aver parteggiato per l’uno o per l’altro ma anche se sarà rimasta neutrale e passiva, perché lo Spirito se ricompensa esige, mentre la materia comanda solo. Per lo più, psiche è la serva sciocca della materia e, come la Psiche della favola, si lascia subornare dai prischi istinti. Psiche ignorante e paurosa, anziché consigliarsi con il suo celeste sposo, tenta di violarne il mistero, o peggio ancora, si nega al suo sposo, tenta di nascondersi a lui celando negli abissi dell’inconscio la belva innominabile che è nata con lei di lei (Satana-personalità) e che finirebbe per divorarla se il suo salvatore non tentasse ogni via per venirla a salvare. Nel contrasto Spirito-materia sorge il conflitto Psiche-personalità; personalità che sta alla materia come il riflesso all’immagine, ma che si spegne non appena la folgori l’abbagliante chiarore dello Spirito, specchio puro ove Psiche si contempla. Ma, il riflesso che vuol vivere una vita a sé stante, offre a Psiche un altro specchio, uno specchio impuro, bugiardo e seduttore in cui essa rispecchiandosi, s’innamora di sé e si ripiega in un narcisismo che avrà come conseguenza l’involuzione, il dolore e la morte. La personalità, però, avvisa Psiche che se lascerà cadere lo specchio, assai più gravi saranno le conseguenze, perché lo specchio è, in realtà, uno scudo che la difenderà dalla belva ignota che già la possedette, la rese infelice e che la divorerà, Psiche, allora stringe lo specchio fatale e, nella fantasmagoria delle forme, pur conscia della sua infelicità, pensa che maggiore sarebbe la sua miseria se la forma non la soccorresse e non la proteggesse e, se pur nostalgia d’amor la stringe, ama la sua disperazione che chiama ricerca e, illudendosi di cercare Amore, incontra Pan ritornando donde sbocciò. Questo suo ritorno però, è un’inconfessata menzogna; neppur la siringa di Pan, cioè la bestialità primigenia, la salverà! Ammalata, ignobilmente ammalata di Eros, portando nel seno la concezione divina, essa non può scendere più in basso di quanto la sua natura le conceda. L’inganno satanico della forma e della personalità, a lungo andare, sarà sventato, e Psiche concluderà il suo trionfo sul corpo, fra le braccia di Eros, per merito di Eros. Nel prossimo numero continueremo la storia di Psiche e successivamente vedremo come anima e corpo, a vicenda ammalandosi e guarendosi, finiscano per comportarsi come due compagni di galera incatenati allo stesso banco, curvi sotto lo stesso staffile, nemici inconciliabili, diversi fra loro seppur accomunati dal destino e dal delitto. Ma questo destino, che è la forza stessa della Redenzione, cancellando il delitto darà ai due compagni-nemici, al giusto momento e secondo i loro meriti, il premio che a loro spetta. ***************

Source: http://www.associazionepitagorica.it/Pdf/SUPERBA%20AVVENTURA/Terapia/Soma_e_Psiche.pdf

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